lunedì 18 febbraio 2019

LA STORIA SOCIOLOGICA DEGLI ULTIMI TRENT’ANNI



Se fino alla prima metà degli anni '90 compresi si doveva infondere che il mondo fosse bello a prescindere in contrapposizione ad un altro tipo di mondo, quello ad Est, oggi, dopo la "vittoria" (presunta tale) del capitalismo, la musica, la cinematografia, la Tv, la letteratura ed i media in genere, impongono "scientificamente" una visione "decadentista" e pessimista: ovverosia "che l'uomo debba essere soddisfatto di ciò che ha e che vive, perché non può esistere un mondo migliore di quello che ha di fronte".
In pratica, ciò che passa per mezzo dei media è che “meglio di così non si può stare”, che “questo è il migliore dei mondi possibili dove vivere”.
La "sfortuna inventata” dei protagonisti dei format mediatici del nuovo millennio, serve, come una sorta di riscatto interiore, sociale ed economico dello spettatore/ascoltatore, proprio a tale scopo. Le frasi che il popolo si sente dire inconsciamente a se stesso alla visione di siffatti “programmi decadentisti” e dei loro “protagonisti a loro volta decadentisti” sono del tipo: "ah... lui sta peggio di noi"; "ah, lui è "sfortunato", ma noi, con quel poco che abbiamo, riusciamo a godere di una vita “discretamente felice”"; "ah, "quanti problemi" ha lui, noi stiamo molto meglio! Noi rispetto a lui ce la spassiamo, quello che viviamo è un mondo bellissimo!".
Questa "decadenza mediatica", accompagnata da un “benessere generalizzato”, e da “un'euforia collettiva imperante”, hanno puntellato ed hanno assestato nella mente della gente un mondo decisamente ed oggettivamente brutto fatto passare al contrario per buono; infine sia questo “benessere generalizzato”, che questa “euforia collettiva e contagiosa” insieme al decadentismo mediatico “giustificante”, condiscono questo mondo di “un'aria di mutazione o di cambiamento” mai avvenuti.



Naturalmente quanto appare è obiettivamente ed oggettivamente falsissimo: il mondo non è mai cambiato, non è cambiato per niente negli ultimi anni, ed è anzi molto ma molto peggiorato rispetto a prima.
Anzi, il fatto che la gente creda che qualcosa sia cambiato in meglio, il contrario del concetto stesso, pregiudica in maniera definitiva la loro visione del mondo a loro circostante.
La “ciliegina sulla torta” finale di questo scenario a dir poco apocalittico, è che chi denuncia questa realtà, viene visto come una sorta di "perdente-sfortunato-visionario-pessimista-irrealista", quando invece sarebbero proprio costoro, in numero purtroppo molto esiguo all’interno della società, a vedere la realtà in maniera tangibile ed oggettiva, e soprattutto con grande ottimismo: “No, non può essere questo il migliore dei mondi possibili! Il mondo può e deve migliorare veramente, e sarà nettamente e veramente più bello e più etico di quello che viviamo oggigiorno e che rappresenta la bruttura e l’anti-etica più assoluta!”.

Naturalmente “la massa informe indistinta, indistinguibile, che non distingue”, non riuscirà ancora per lungo tempo ad accorgersi di ciò.
Si potrà dare inizio al cambiamento vero e reale del mondo circostante solo quando l'uomo medio si accorgerà in maniera netta e coscienziosa che nulla è cambiato, niente è migliorato, e che nulla potrà mai cambiare o migliorare nel breve. Finché l'uomo medio non si accorge e prende coscienza cioè del suo stato illusorio, che rende lui di fatto veramente "perdente-sfortunato-visionario-pessimista-irrealista” al cospetto di chi invece saggiamente valuta la realtà circostante con il dovuto e necessario realismo, e lo speranzoso ottimismo di tendere e di puntare verso una maniera di vivere più etica e più bella, cioè finché l’uomo medio non prende coscienza del realismo e dell’ottimismo del saggio nel valutare in maniera esatta la società e l’umanità, il mondo non potrà mai cambiare.



Il “protagonista sfortunato" delle vicende mediatiche che riscatta a livello interiore, nella società ed economicamente l'uomo medio serve da giustificazione ad un qualcosa che ha bisogno di essere sostenuto: se il riscatto del capitalismo fino alla prima metà degli anni '90 era un mondo esterno ad esso, ora, per autonutrire la sua esistenza, si affida alle vicende di “protagonisti sfortunati". Lo scopo del “protagonista sfortunato” è “abbellire” il mondo circostante, e, financo, l’uomo medio ai suoi stessi occhi.
Non è un caso, per esempio, che i quiz in Italia siano passati da format come “Rischiatutto” e “Telemike” a format come il “Quiz Show”, “Chi Vuol Essere Milionario” ed “epigoni”: mentre nei primi due esempi di quiz il concorrente veniva visto come un "mostro" preparatissimo nel suo argomento, al quale veniva anche perdonato l’errore, nei secondi esempi, il concorrente viene visto come un uomo normale, esattamente come l'uomo medio che esso stesso spettatore rappresenta, e gli errori dei concorrenti vengono visti come una sorta di riscatto interiore e sociale del proprio essere e della propria esistenza di uomo medio. Lo stesso discorso di può calare al Grande Fratello, e a tutti i reality nati dalla seconda metà degli anni ‘90 in poi, proprio quando venne a mancare il “riscatto fisico” del blocco sovietico: le “vicende sfortunate" dei protagonisti di questi format, condite dai soliti buoni sentimenti a buon mercato tipici della propaganda capitalista, come compassione, commiserazione, pietismo, riscatto, servono anch'esse come “revanche” per l'uomo medio: i reality vari, i nuovi format televisivi basati su eventi di vita reale e vissuta, i nuovi format di quiz ed i nuovi format televisivi in genere, dove il/la protagonista è una storia vera, magari all’inizio sfortunata, ma con un lieto fine da raggiungere o raggiunto giustappunto alla fine (guarda caso!!!!) della storia stessa, fanno dire inconsciamente allo spettatore/ascoltatore/uomo medio, senza che lui se ne accorga, a se stesso: "ah, io sto meglio di lui, e, soprattutto, sono meglio di lui, ultimamente ho qualcosa di buono nel portafoglio e vivo in un periodo euforico: il mondo è bello, è cambiato, non deve cambiare da come è in questo momento e vale la pena di continuare a viverlo così!”.



Naturalmente è FALSISSIMO!
Le "vicende decadenti e sfortunate" del capitalismo mediatico hanno preso il posto, come riscatto sociale, economico ed interiore, del vecchio ed ancestrale "nemico ad Est" non più esistente. "Vicende decadenti e sfortunate", ripeto, accompagnate sempre dai "classici buoni sentimenti capitalisti" a buon mercato: non è un caso che ciò che negli anni '80, in pienissimo periodo di “Yuppies” e di “Milano da bere”, risultava assolutamente stonato, oggi è la prassi: Bebe Vio e Zanardi, loro malgrado, volenti o nolenti, consci o inconsci, rappresentano in pieno un mondo fatto di “vicende sfortunate che si riscattano”, imbibite dei più “ipocriti e falsi buoni sentimenti fasulli capitalisti”: tutto ciò rappresenta innanzitutto l'illusione di un mondo buono ed etico assolutamente inesistente, e, in secondo luogo, il riscatto dalle sconfitte quotidiane dell'uomo medio abituato a perdere e a stare male nella vita, che vede, per esempio, nei due protagonisti paralimpici, la visione della possibilità crudele e cinica di stare meglio di loro, nonostante i loro "successi". “Successi” scritto rigorosamente tra virgolette: non so fino a che punto, infatti, si possano definire “successi” le vittorie degli atleti paralimpici e dei due atleti in questione in particolare! L’unico successo esistente non lo vivono né gli atleti paralimpici, costretti ad inseguire vittorie sportive per dare un minimo senso di felicità alla loro vita, né, meno che meno gli spettatori di quegli eventi sportivi che guardano a quegli stessi atleti con il cinismo e la crudeltà neanche troppo inconscia di chi si vuole riscattare dalle sconfitte della vita quotidiana, ed in questo caso le persone sono assolutamente “normali”, “normali di nome e di fatto!”.
L’unico successo lo vive chi da più di cinque lustri propone a tappeto sui mass media l’esaltazione della mediocrità, a volte dovuta purtroppo a menomazione fisica, a volte dovuta, in questo caso senza alcuna giustificazione di sorta, a comportamenti sciocchi e stupidi, in maniera tale da creare, nella mente dell’astante retropensieri inconsci cinici e crudeli del tipo: "noi siamo fortunati, cara Bebe Vio, abbiamo gli arti, stiamo meglio di te, passeggiamo e saltelliamo tutto il giorno nel parco con le nostre gambe, siamo contenti per le tue vittorie e per il tuo riscatto dalla tua vita di m**da! Questa cosa ci rende anche felici, da un lato viviamo certi che c’è qualcuno che sta molto peggio di noi, dall’altro ci “purifichiamo la nostra coscienza” nel vedere il “bene (?!?!?!?!?) trionfare” con un’atleta paralimpica che vince competizioni sportive internazionali!”.





In sintesi, le "fortune" degli SFORTUNATI atleti paralimpici, sempre più esaltati e sempre più mediatici, i concorrenti dei quiz "umani" e "fallaci", i concorrenti dei reality "sfortunati" e "sciocchi", i film al cinema sempre più riferiti a PRESUNTE "storie vere" di riscatto e piene di buoni sentimenti e di tanta compassione a buon mercato, rappresentano, nel decadentismo imperante dei media, dalla seconda metà degli anni '90 in poi compresi, quello che fino ad allora era rappresentato dal "nemico ad Est": in pratica il capitalismo, per continuare la sua esistenza, ha bisogno di un qualcosa che serva per giustificare la sua evidente follia.
E cosa c'è di meglio, per giustificare il capitalismo agli occhi dell'uomo medio, che un riscatto sociale ed interiore per l’uomo comune in maniera tale che egli dica a se stesso: "ah, lui sta peggio di me, io sono meglio di lui, il mondo è bello ed etico perché "aiuta" e "sostiene" l’atleta paralimpico di turno, ed io, più felice di lui, mentre a differenza di lui saltello e “corricchio” per il parco, mi lavo pure la coscienza e vedo ciò che mi circonda con un occhio diverso da quello con cui dovrei vedere realmente tale mondo!”?

Il capitalismo fa di tutto per non mutare lo stato delle cose MAI MUTATO, facendo credere al proprio uomo medio, illudendolo, il contrario di ciò che lui stesso è, dandogli l'illusione di essere diverso dalla sua stessa condizione, anzi addirittura l’opposto di quello che in realtà è, cioè di uomo "perdente-sfortunato-visionario-pessimista-irrealista”, facendogli persino credere, infine, che tutto ciò che vive sia molto bello, anzi, addirittura, il meglio possibile!



Il cambiamento, l’unica forma di cambiamento di questo mondo oggettivamente pessimo, sta nella ottimistica e realistica presa di coscienza collettiva della propria insipienza, del proprio stato di inferiorità intellettiva, e della propria condizione di sfortunati... per adesso, ANCORA TUTTI INCONSAPEVOLI.

Solo allora, con la presa di coscienza collettiva, il mondo potrà cambiare…

e potrà diventare quello che noi, con tutto il nostro ottimismo possibile ed immaginabile vorremmo, e che ancora realisticamente e assolutamente non c’è

cioè un mondo etico, giusto, sano.






Arnoldo Folino

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